lunedì 20 maggio 2013

Articolo su L'Ortica del Venerdì - 17 maggio: SMASCHERARE LA VIOLENZA PER CONTRASTARE IL FEMMINICIDIO

Spettabile Redazione, vorrei condividere con le vostre lettrici e i vostri lettori una riflessione originata dalla lettura dell’articolo di Massimo Recalcati dal titolo “Se fallisce il nostro io esplode la violenza”, apparso sul quotidiano La Repubblica di Domenica 5 Maggio.
Come anticipato dal titolo, l’autore chiarisce che l’esplosione della violenza avviene quando manca “il lavoro di simbolizzazione del proprio fallimento”, così nel rapporto fra uomo e donna la violenza viene agita per “ristabilire l’autorevolezza della propria immagine narcisistica infangata e umiliata dalla libertà dell’Altro”. Condivido appieno questa argomentazione, tranne per quel “Altro”, che chiamerei direttamente “Altra”, dal momento che nel rapporto fra uomo e donna la violenza è maschile nella quasi totalità dei casi, e mi chiedo quanti uomini infantili e narcisisti esistono nel nostro paese per spiegare la violenza a cadenza quotidiana sulle donne e che sempre più spesso sfocia in femminicidio.
D’altra parte, Recalcati ci ricorda che la violenza è connaturata all’essere umano e ci accompagna da sempre come un’ombra, non è un caso infatti che l’Antico Testamento si apra con il fratricidio commesso da Caino. Non serve perciò negare la violenza ma “sapervi rinunciare in nome del riconoscimento dell’Altro come prossimo”. Temo proprio che in questo compito abbiamo fallito. La nostra storia e il racconto che ne facciamo sono intessuti di violenza. Quando parliamo di condottieri come Alessandro, Giulio Cesare, Napoleone, per citarne alcuni, li definiamo grandi e magnifichiamo le loro imprese, che sono imprese di annessione, di conquista, di invasione, tacendo di tutte le morti e le sofferenze che queste eroiche gesta hanno provocato e rinnegando così ciò che ci distingue come esseri umani: la compassione, cioè la partecipazione alla sofferenza dell’altro.
Credo che le azioni contro la violenza debbano prevedere più livelli di intervento. Penso che dobbiamo avere il coraggio di smascherare ciò che abbiamo ammantato di false parole, denudando la realtà, che non è altro che storia di sopraffazione e affermando che anche la sofferenza di un solo essere umano non è compatibile con la nostra umanità. Dobbiamo praticare disobbedienza civile, rifiutandoci di pronunciare parole mistificatorie e denunciandole come tali. Cos’altro sono infatti espressioni come “guerra umanitaria” o “effetti collaterali”, se non un inganno atto a coprire una realtà di morte? Dobbiamo ricordare che questa è storia e racconto di uomini. Già Caino e gli estensori del Vecchio Testamento erano di genere maschile, così come lo sono tutti coloro che ad ogni latitudine vogliono perpetuare un modello patriarcale, che sulla violenza fonda la sua supremazia.
Quante volte ci siamo sentite dire con disprezzo che noi donne ragioniamo con l’utero, non sospettando, i poveretti, che non di offesa si trattava, ma dell’inconsapevole riconoscimento di un modo diverso e migliore di ragionare? L’utero è organo che accoglie, nutre e dà la vita e colei che dà la vita è dotata di empatia, la capacità di mettersi al posto dell’altro. Una capacità che favorisce l’ascolto e il dialogo, premesse di un processo di pace, esattamente l’opposto della glorificazione della violenza e della pratica di aggressione e di distruzione. Un ragionare quindi che, se fosse condiviso a livello globale, potrebbe essere l’unico in grado di ricomporre un mondo andato in pezzi.
Anna Maria Miceli