venerdì 11 ottobre 2013

RACCONTO D'AUTUNNO



Dedicato alla nostra Costituzione

Era una notte di tempesta. Lampi squarciavano le tenebre illuminando di luce livida le valli, tuoni rotolavano rombando dalle montagne, una pioggia violenta sferzava i campi scavando solchi, il vento urlava fra i vicoli facendo rabbrividire i piccoli nei loro letti, il mare mugghiava avventandosi sugli scogli.
Ma la Città dormiva. Solo di tanto in tanto un fremito, memore di antiche offese, increspava il suo sonno, lasciando sfuggire dal petto un gemito lieve. Nella sua lunga esistenza, la Città aveva sofferto terribili sconvolgimenti. Fiumi di lava incandescente avevano travolto la vita lasciando ceneri fumanti, aghi di gelo l'avevano trafitta negli inverni inclementi, tradimenti e inganni avevano violato la sua innocenza, né il tempo aveva potuto lenire l' orrore della sciagura più grande: uomini avevano ucciso altri uomini, fratelli contro fratelli, e il loro sangue per giorni aveva arrossato i campi, dove non crebbe più il grano. Eppure, ogni volta la Città aveva saputo ricucire le ferite della sua anima, ritrovando la speranza e la volontà di riannodare la vita e, forse, fu proprio la fiducia nella sua forza a renderla ignara del nuovo pericolo.
Un rombo, più potente della tempesta, la strappò al sonno rendendola subito vigile. Le parve di riconoscere il suono ritmico di centinaia di zoccoli che colpivano con impeto il suolo. Frugò con ansia l'oscurità e li vide: destrieri lucidi di pioggia e di sudore lanciati al galoppo, le froge fumanti, la corsa sicura dei muscoli possenti, le teste magnifiche che sfidavano il vento. Vide gli uomini che li cavalcavano e sotto i corpetti di cavalieri indovinò cuori di pirati.
Atterrita, dall'alto delle mura antiche, li seguì dirigersi alle Porte urlando selvagge grida di guerra, mentre la pianura echeggiava di gutturali richiami. Li vide entrare spavaldi e arrestare la corsa sui disegni delicati del marmo della piazza, passare con arroganza di conquistatori fra le esili colonne degli edifici, sguazzare sguaiati nelle acque delle fontane, che l'arte di maestri eccelsi aveva adornato di splendide statue.
Allora, dai sobborghi giunsero tutti i pavidi che, forti della debolezza della Città, chiedevano agli invasori di divenire loro servi; qualcuno, nell'euforia della vittoria, fu nominato scudiero, ma i più finirono a pulire le latrine. E se ne sentirono grati. Anche l'accolita di soli uomini che, nonostante le vesti strane e le strane cerimonie, la Città aveva rispettato, aprirono le porte e si unirono ai vincitori.
Impotente, sentì i nuovi padroni gozzovigliare sulle tavole coperte di lino, fra cristalli scintillanti e argenti lucenti, li vide lordare i tappeti di seta dai delicati colori e crollare infine, ebbri di vino e di potere, sui letti d'ebano.
Quando quella interminabile notte illividì nell'alba del nuovo giorno, insonne e attanagliata da un funesto presagio, li osservò radunarsi tutti  nella piazza grande e marciare verso il tempio maestoso che custodiva La Legge Della Città e capì che l'atto più empio che nessuno aveva mai osato stava per compiersi.
Non ebbe bisogno di guardare, fu il suo cuore a sentire il colpo che mandava in frantumi il prezioso cristallo della teca. Visse l'eternità del gesto: la mano sacrilega che si abbassava al fianco dopo lo scempio, le schegge splendenti di mille riflessi che compivano tutta intera la loro parabola fino a posarsi inerti sul pavimento, il tempo che si arrestava.
Di colpo, la Legge fu nuda e indifesa.
Nei giorni a seguire, riconobbe che fu proprio quella muta invocazione di protezione a provocare l'esplosione di ribellione, il grido di rifiuto che urlava al mondo tutto il suo sdegno e che presto si propagò nelle strade, nelle piazze e nelle valli, acquisendo sempre più vigore e già trasformandosi in grido di liberazione.
Cara, vecchia Città, quante volte aveva opposto alla violenza la sua saggezza, la sua passione, il suo coraggio, uscendone vincitrice! "lo sarò anche stavolta" si disse fiduciosa. Scrutò attenta l'orizzonte. Un riverbero lontano, forme indistinte in movimento, poi massa ondeggiante e infine eccoli, li vide, cittadine e cittadini, già alle Porte, i volti seri, gli stendardi al vento.
Felice, con rinvigorita energia, raggiunse veloce le sue stanze, indossò la veste più bella e si avviò sorridente ad accogliere i suoi abitanti, canticchiando fra sé una canzone della sua gioventù "Una mattina mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao...".
 
Gia`pubblicato sulla rivista Colorcity nel dicembre 2009, ho apportato qualche modifica per renderlo attuale.
Anna Maria Miceli

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