È successo anche nel nostro territorio: un uomo ha
ucciso la propria moglie, accoltellandola. Ancora una volta, un uomo si arroga
il diritto di togliere la vita alla donna con cui vive.
Delitto passionale, dramma della gelosia, raptus?
No, delitto di possesso, sempre unidirezionale, da lui a lei, che accomuna
latitudini e classi sociali, come rivela un recente rapporto ONU, secondo il
quale il 38% delle donne nel mondo muoiono per violenza di genere.
Donne acidificate, private della loro libertà di
scelta, massacrate, uccise da uomini emotivamente analfabeti, incapaci di
vivere un rapporto paritario. Su questi dovrebbe essere puntata l'attenzione
dei media e delle istituzioni nella loro funzione legislativa, non sulle donne,
che diventano vittime per precisa volontà di chi le assassina. Sappiamo sempre
troppo poco di questi uomini e invece spesso ci vengono forniti particolari
sulla vita relazionale delle donne uccise, quasi a cercare una giustificazione
al gesto dell'assassino. Non esiste mai nessuna motivazione che possa
giustificare il femminicidio, l'uccisione di una donna in quanto donna: da qui
bisogna partire per il superamento di tutti gli stereotipi che alimentano la
cultura della violenza maschile sulle donne
La violenza di genere è un problema culturale, il
colpo di coda di un patriarcato insicuro, secondo Vandana Shiva. Ma è anche un
problema sociale, quando l'organizzazione della società assume come parametri
relazionali, fra noi e gli altri, fra noi e l'ambiente, forme di ingiustizia, di sfruttamento, di violenza.
Non conoscevamo questa giovane donna che, come
molte migranti, vengono nel nostro paese facendo da apripista ai loro compagni,
perché in grado di rispondere ai nostri bisogni di lavoro di cura, ma sappiamo
che il suo progetto di vita è stato brutalmente fermato dall'uomo che le stava
accanto. Per questo la piangiamo, per questo vogliamo ricordarla.
Associazione Senonoraquando - Cerveteri
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