Spettabile Redazione, vorrei condividere con le vostre lettrici e i
vostri lettori una riflessione originata dalla lettura dell’articolo di
Massimo Recalcati dal titolo “Se fallisce il nostro io esplode la
violenza”, apparso sul quotidiano La Repubblica di Domenica 5 Maggio.
Come anticipato dal titolo, l’autore chiarisce che l’esplosione della
violenza avviene quando manca “il lavoro di simbolizzazione del proprio
fallimento”, così nel rapporto fra uomo e donna la violenza viene agita
per “ristabilire l’autorevolezza della propria immagine narcisistica
infangata e umiliata dalla libertà dell’Altro”. Condivido appieno questa
argomentazione, tranne per quel “Altro”, che chiamerei direttamente
“Altra”, dal momento che nel rapporto fra uomo e donna la violenza è
maschile nella quasi totalità dei casi, e mi chiedo quanti uomini
infantili e narcisisti esistono nel nostro paese per spiegare la
violenza a cadenza quotidiana sulle donne e che sempre più spesso sfocia
in femminicidio.
D’altra parte, Recalcati ci ricorda che la violenza è connaturata
all’essere umano e ci accompagna da sempre come un’ombra, non è un caso
infatti che l’Antico Testamento si apra con il fratricidio commesso da
Caino. Non serve perciò negare la violenza ma “sapervi rinunciare in
nome del riconoscimento dell’Altro come prossimo”. Temo proprio che in
questo compito abbiamo fallito. La nostra storia e il racconto che ne
facciamo sono intessuti di violenza. Quando parliamo di condottieri come
Alessandro, Giulio Cesare, Napoleone, per citarne alcuni, li definiamo
grandi e magnifichiamo le loro imprese, che sono imprese di annessione,
di conquista, di invasione, tacendo di tutte le morti e le sofferenze
che queste eroiche gesta hanno provocato e rinnegando così ciò che ci
distingue come esseri umani: la compassione, cioè la partecipazione alla
sofferenza dell’altro.
Credo che le azioni contro la violenza debbano prevedere più livelli
di intervento. Penso che dobbiamo avere il coraggio di smascherare ciò
che abbiamo ammantato di false parole, denudando la realtà, che non è
altro che storia di sopraffazione e affermando che anche la sofferenza
di un solo essere umano non è compatibile con la nostra umanità.
Dobbiamo praticare disobbedienza civile, rifiutandoci di pronunciare
parole mistificatorie e denunciandole come tali. Cos’altro sono infatti
espressioni come “guerra umanitaria” o “effetti collaterali”, se non un
inganno atto a coprire una realtà di morte? Dobbiamo ricordare che
questa è storia e racconto di uomini. Già Caino e gli estensori del
Vecchio Testamento erano di genere maschile, così come lo sono tutti
coloro che ad ogni latitudine vogliono perpetuare un modello
patriarcale, che sulla violenza fonda la sua supremazia.
Quante volte ci siamo sentite dire con disprezzo che noi donne
ragioniamo con l’utero, non sospettando, i poveretti, che non di offesa
si trattava, ma dell’inconsapevole riconoscimento di un modo diverso e
migliore di ragionare? L’utero è organo che accoglie, nutre e dà la vita
e colei che dà la vita è dotata di empatia, la capacità di mettersi al
posto dell’altro. Una capacità che favorisce l’ascolto e il dialogo,
premesse di un processo di pace, esattamente l’opposto della
glorificazione della violenza e della pratica di aggressione e di
distruzione. Un ragionare quindi che, se fosse condiviso a livello
globale, potrebbe essere l’unico in grado di ricomporre un mondo andato
in pezzi.
Anna Maria Miceli
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