giovedì 31 ottobre 2013



È successo anche nel nostro territorio: un uomo ha ucciso la propria moglie, accoltellandola. Ancora una volta, un uomo si arroga il diritto di togliere la vita alla donna con cui vive.
Delitto passionale, dramma della gelosia, raptus? No, delitto di possesso, sempre unidirezionale, da lui a lei, che accomuna latitudini e classi sociali, come rivela un recente rapporto ONU, secondo il quale il 38% delle donne nel mondo muoiono per violenza di genere.
Donne acidificate, private della loro libertà di scelta, massacrate, uccise da uomini emotivamente analfabeti, incapaci di vivere un rapporto paritario. Su questi dovrebbe essere puntata l'attenzione dei media e delle istituzioni nella loro funzione legislativa, non sulle donne, che diventano vittime per precisa volontà di chi le assassina. Sappiamo sempre troppo poco di questi uomini e invece spesso ci vengono forniti particolari sulla vita relazionale delle donne uccise, quasi a cercare una giustificazione al gesto dell'assassino. Non esiste mai nessuna motivazione che possa giustificare il femminicidio, l'uccisione di una donna in quanto donna: da qui bisogna partire per il superamento di tutti gli stereotipi che alimentano la cultura della violenza maschile sulle donne
La violenza di genere è un problema culturale, il colpo di coda di un patriarcato insicuro, secondo Vandana Shiva. Ma è anche un problema sociale, quando l'organizzazione della società assume come parametri relazionali, fra noi e gli altri, fra noi e l'ambiente, forme di  ingiustizia, di sfruttamento, di violenza.
Non conoscevamo questa giovane donna che, come molte migranti, vengono nel nostro paese facendo da apripista ai loro compagni, perché in grado di rispondere ai nostri bisogni di lavoro di cura, ma sappiamo che il suo progetto di vita è stato brutalmente fermato dall'uomo che le stava accanto. Per questo la piangiamo, per questo vogliamo ricordarla.

Associazione Senonoraquando - Cerveteri

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